sabato 31 dicembre 2011

1° Incontro di Formazione: "I GIOVANI CREDONO ANCORA NEI PARTITI?"

La politica e i partiti sono in forte crisi e lo dimostra la presenza di Monti e della sua squadra di tecnici tra gli scranni parlamentari. Lo gridano anche tanti giovani e meno giovani che non vogliono più saperne di affidarsi a venditori abusivi di sogni.
Ma siamo davvero all’ultimo scorcio dell’Armageddon politico o siamo i prescelti protagonisti degli albori
di una nuova era: quella della Terza Repubblica?
Giorno 29 Dicembre, a Santa Croce Camerina (RG), s’è tenuto il 1° incontro di formazione sul tema “I giovani credono ancora nei partiti?” L’incontro è stato organizzato dall’Associazione socio-culturale Generazione Santa Croce e le parole chiave sono state: Partecipare,  Confrontarsi, Crescere. Tantissimi i giovani che hanno raccolto l’invito a Partecipare. Il confronto c’è stato, a volte anche a tinte forti ma pur sempre nei limiti e di sicuro, chi c’è stato non può negare di essere cresciuto un po’.
Antonello Iurato durante il suo intervento
A moderare l’incontro, oltre a me, in quanto membro dell’Associazione Generazione Santa Croce, c'era Alessia Cataudella, emergente e bravissima cronista locale. C’erano ospiti sette giovani militanti nei vari partiti e provenienti da tutta la provincia iblea che hanno dato prova di come ci si possa ancora confrontare in maniera costruttiva e senza spettacolarizzazioni anche se si appartiene a partiti politici diametralmente opposti. Tanto fair-play e tanta voglia di invertire la deleteria tendenza di andare sempre e comunque “contro” e delegittimare l’avversario a qualsiasi costo.

Prima di lasciar spazio alle esperienze degli ospiti ci sono stati tre interventi introduttivi al tema (li pubblicherò per intero ):
-da Cavour e Garibaldi ai festini hard di Arcore, esposto da me;
-Gli indignados, esposto da Domenico Lupo;
-Conciliare rigore ed equità, esposto da Antonello Iurato.

Come ho già dichiarato: “Abbiamo volontariamente mantenuto toni bassi perché il nostro obiettivo non è arrivare ad uno “scontro generazionale”. Noi puntiamo invece ad un vero “patto tra le generazioni”, che consenta di superare gli squilibri attuali partendo dalla consapevolezza che seppur manchi una decisa reazione collettiva generazionale siamo in tantissimi quelli che non aspetteremo la venticinquesima ora per capire che si doveva e si poteva far meglio. Noi siamo il futuro e tra mille difficoltà ce lo costruiremo”
 
Tra gli ospiti c’era Simone Digrandi, commissario provinciale Generazione Futuro Ragusa:“GF ha fatto la sua bella figura. Una giovanile che è motore pulsante dell'intero partito, che nella sua autonomia crea iniziative uniche sul panorama politico giovanile in Italia, che nel suo meccanismo di rete globale riesce ad attenzionare qualsiasi problema locale, che coinvolge tutti in una maniera unica e speciale. Abbiamo dimostrato, agli altri, non solo di condividere l'esigenza di un'impegno politico giovanile vero, ma di porlo in essere nella migliore delle forme.” I "grandi", come ho avuto modo di dire, non rappresentano qualcosa che "va sostituito", anzi. Proprio loro sono quelli che devono prenderci per mano e guidarci nella nostra crescita politica, facendoci capire come muoverci, come esaltare le nostre capacità, come realizzare davvero ciò che siamo in grado di fare.
Domenico Lupo durante il suo intervento

E’ intervenuto pure Michael Massari, rappresentante del movimento studentesco di GF Ragusa. Michael ha ricordato il discorso di Pericle agli Ateniesi, risalente al V secolo a.C. “Un discorso che ci insegna a costruire la democrazia e che dipinge perfettamente la figura del politico, ovvero colui che si preoccupa dello Stato e mostra il suo coraggio in questa lotta per salvaguardarne l'esistenza, ha sottolineato Michael. Inoltre ha poi spostato l’attenzione sulla scuola: “Una scuola importante per la formazione di uomini dediti alla politica, una scuola quindi non di partito! Attraverso un parallelismo maestro-politico / professore-tecnico, ha delineato l'importanza del politico che non è colui che legge la realtà attraverso leggi matematiche, ma è colui che preoccupandosi della collettività, aggira l'ostacolo coniando una soluzione innovativa. Infine, il suo appello si conclude con un desiderio particolare, che tutti i giovani entrino a far parte dei partiti, perchè per arrivare alla politica bisogna utilizzare un mezzo, ed inoltre costruire un apparato politico basato sul dialogo e non sulle offese, o su scene teatrali e cinematografiche.
Grande partecipazione di pubblico
Con gli amici dell’Associazione Generazione Santa Croce abbiamo aperto un dialogo tra i partiti e i giovani iblei e ci teniamo a dire che “Il nostro sogno è quello di esportare la nostra esperienza a tutte le realtà, dal locale al nazionale aprendo le porte ad un nuovo approccio del fare politica”.

mercoledì 21 dicembre 2011

IL PATTO GENERAZIONALE


Il ministro Meloni ha chiesto nel mese di settembre che nella Costituzione venisse inserito il patto generazionale, ossia la verifica dell’impatto di tutti i provvedimenti a lungo termine, per non far pesare sui futuri adulti le riforme adottate dagli adulti attuali. Chissà perché ogni volta che i politici propongono una cosa sensata, questa debba sempre passare per la modifica della Costituzione, ossia il modo migliore per gettarla direttamente nel cestino.
Ma non bisogna guardare troppo in là, e neppure atteggiarsi a padri costituenti, per vedere come l’Italia sia diventato un paese pericolosamente iniquo e come noi giovani ci troveremo a portare sulle nostre spalle tutto il peso dei calcoli elettorali dei nostri vecchi.
Grazie tante cari papà, che dovreste traghettarci nel futuro e che invece vi state approfittando della nostra distrazione, troppo presi come siamo a barcamenarci per arrivare a fine mese e per arrabattare qui e lì un contratto a progetto, uno stage e un tempo determinato.
E grazie a te, caro ex ministro Meloni, che dal tentativo di elargire milioni di euro a delle fantomatiche “comunità giovanili” (ossia i vecchi amici di Azione giovani) alla difesa della disposizione sui licenziamenti facili prevista nella estiva manovra, ti sei dimostrata molto più la rappresentante della “gioventù” raffigurata da Berlusconi, sempre sorridente e ottimista a favor di camera, che non dei “giovani”, consapevoli ma indifesi.

A fronte dell’assenza di tutele a favore dei giovani che si accingono ad intraprendere un’attività e ad immaginare e preparare il proprio futuro, quello che per certi versi è più deprimente e sorprendente al tempo stesso è che manca una reazione collettiva generazionale, manca una messa in discussione delle regole che non funzionano di questo sistema. Questa è la colpa dei figli che si accompagna a quella dei padri di non aver costruito una società in grado di dare alle generazioni dei figli le stesse opportunità che hanno i giovani degli altri grandi Paesi. La conseguenza è che l’Italia si ritrova ad essere un Paese statico, con scarsa mobilità sociale. Un Paese che fatica a crescere e ad essere davvero innovativo e competitivo.
In questa situazione occorre reagire con un nuovo Patto generazionale che consenta di superare gli squilibri attuali e indirizzi le risorse a compensare la riduzione quantitativa dei giovani con un potenziamento qualitativo.
Questo significa maggiori investimenti in formazione, valorizzazione del capitale umano nel mondo del lavoro, maggior possibilità di emergere in base ai propri talenti e capacità. Significa anche un mercato di lavoro che tenga in giusta considerazione il merito; una previdenza che tenga in conto l’equità intergenerazionale e un fisco che aiuti chi lavora. Significa riattivare l’ascensore sociale ormai da troppo tempo guasto o a disposizione soltanto di chi già frequenta i piani alti per salire ancora più in alto.
E allora facciamoci un po’ sentire, e riprendiamoci ciò che è nostro: il diritto di poter lavorare alle stesse condizioni di chi il lavoro ce l’ha da più anni, ossia con salute, maternità e riposo garantiti, insieme a una continuità che ci consenta di fare carriera, naturalmente se lo meritiamo.

A tutti quei papà che ci hanno rubato il futuro: NOI non siamo dei viziati, e non siamo neppure l’Italia peggiore.
Non aspetteremo come voi la venticinquesima ora per capire che si doveva e si poteva far meglio.
Noi siamo il futuro e tra mille difficoltà ce lo costruiremo. Per Noi e per i nostri figli

venerdì 16 dicembre 2011

I peccati capitali degli stati europei!

Dietro la facciata della solidarietà e dell'impegno europeista, ogni paese ha i suoi vizi privati che rifiuta categoricamente di ammettere o affrontare. È proprio l'indulgenza verso queste mancanze che rischia di far sprofondare il progetto europeo.

EGOCENTRISMO

IRLANDA – Si può essere d'accordo con il ministro della cultura irlandese: “Siamo un popolo felice e profondamente sincero. Per gli imprenditori stranieri sono cose che contano”. Nessuno lo mette in dubbio. Ma osservando più da vicino, niente vieta di pensare che le imposte irlandesi siano uno dei piccoli motivi che spiegano perché l'isola attiri le imprese internazionali come una calamita. Infatti in questo paese la tassa sulle società è solo del 12,5 per cento, cioè molto al di sotto della media europea. La maggior parte dei paesi Ue, come la Germania e la Francia, tassa le imprese per circa il 30 per cento. In un mercato unico che dovrebbe garantire l'uniformità delle condizioni commerciali, come si può giustificare un tale divario?
Prima della crisi del debito, l'Irlanda attirava già decine di grandi multinazionali: Facebook, Intel, Pfizer, Merk, Sap, Ibm – tutti facevano la fila per andare sull'isola del céad míle fáilte (“100mila benvenuti”). Tutto molto bello, ma la logica che ne deriva è decisamente insulare: più le imprese arrivano numerose, più lo stato può essere generoso nei loro confronti. E anche se il governo irlandese prevede di aumentare alcune tasse, l'imposta sulle società non figura nell'elenco.
Secondo Dublino l'Irlanda deve compensare alcuni svantaggi competitivi imposti dalla natura – per esempio il fatto che non vi si può arrivare in treno. Ma da quando un elemento del genere influisce su settori come l'informatica e le assicurazioni? Senza contare poi che l'Irlanda è l'unica testa di ponte anglofona della zona euro. Allora cari irlandesi, rimanete sinceri, solidali e felici. 
ARROGANZA
FRANCIA – A metà dicembre il gruppo nucleare francese Areva ha espresso l'intenzione di sopprimere migliaia di posti di lavoro. Ma i dipendenti non devono preoccuparsi: “Non vi sarà alcun impatto sul paese. Questa è la linea voluta dallo stato”, ha fatto sapere il ministro dell'economia François Baroin dopo le prime fughe di notizie. Baroin ha subito convocato il responsabile di Areva Luc Oursel e ha ribadito: “Indipendentemente dall'impatto della crisi, nessuna revisione considererà l'occupazione come una variabile utilizzabile a piacimento”. Una priorità che vale solo per l'occupazione francese, occorre precisare.
In Francia nessuno si stupisce di affermazioni del genere. Tutti hanno ben presente la ragion di stato, da quando Jean-Baptiste Colbert, ministro delle Finanze di Luigi XIV, dirigeva l'economia con pugno di ferro. Poco importa se Areva appartenga all'87 per cento allo stato. Anche quando il gruppo Psa Peugeot-Citroën ha annunciato di recente la soppressione di posti di lavoro, il ministro dell'industria Eric Besson si è affrettato a promettere che tutti i lavoratori francesi sarebbero stati risparmiati. Carlos Ghosn, il responsabile di Renault, è stato richiamato all'ordine quando ha voluto delocalizzare una piccola parte della sua produzione in Turchia. 
Non bisogna dimenticare che gli ostacoli posti dallo stato allo sviluppo della produzione nei paesi emergenti sono oggi una delle cause principali delle difficoltà del costruttore francese. Ecco che cosa succede quando lo stato si pone come protettore dell'economia: i costi di produzione crescono e i prezzi anche. Per prevenire una riduzione delle esportazioni, il governo rafforza il protezionismo, in un circolo vizioso. Nel caso migliore il governo francese ricompensa una scarsa redditività. Nel caso peggiore, l'Eliseo si serve del suo potere sulle grandi imprese come di un'arma politica.
I politici francesi diventano europeisti convinti non appena si rendono conto di non poter più andare avanti da soli. Ciò ha portato alla creazione di Eads, leader europeo nel settore aeronautica e difesa, e all'interesse per una possibile alleanza nel settore della costruzione navale. È stato l'allora ministro dell'economia e attuale presidente della repubblica, Nicolas Sarkozy, a impedire a Siemens di entrare in Alstom, il suo concorrente francese. Ma lo stesso Sarkozy aveva organizzato nel 2004 l'acquisto del gruppo farmaceutico franco-tedesco Aventis da parte dei francesi di Sanofi, dando vita al terzo gruppo mondiale del settore. E sempre su sua richiesta la formula che raccomandava un mercato interno “in cui la concorrenza è libera e non falsata” è stato cancellato dal trattato di Lisbona. Per quanto ancora l'Unione europea tollererà tanta arroganza? 
CUPIDIGIA
REGNO UNITO – I britannici sembrano vivere in un'altra dimensione. Come se il mondo della finanza non fosse crollato nel corso degli ultimi tre anni, vogliono poter continuare a compensare le perdite della loro industria speculando con i capitali esteri. Sempre uguali a sé stessi, continuano a seguire la logica secondo cui i mercati sono invincibili e la politica e la società sono obbligati prima o poi a sottomettersi alla loro legge.
Spinto agli estremi, il liberismo di John Stuart Mill e di Adam Smith ha permesso l'affermazione nella City londinese di un sistema finanziario privo di una vera regolamentazione, dove sono stati messi a punto tutti i sofisticati prodotti finanziari – strumenti derivati e titoli sui crediti – responsabili del crollo del 2008. In questo modo miliardi di euro, provenienti da conti correnti e fondi pensione di privati cittadini, sono andati in fumo. Ma sono stati i banchieri della City a essere risarciti.
La crisi del debito sovrano risale al momento in cui i governi sono stati costretti a fornire capitali alle banche. Ma a Londra la proposta di associare gli investitori al rischio scatena grida di terrore. La tassa sulle transazioni finanziarie, sostenuta dal governo tedesco – che  potrebbe mettere fine alle speculazioni a breve termine sul mercato delle valute – è stata definita dal ministro dell'economia George Osborne “un proiettile d'argento al cuore della City”. Chi continua a voler nuotare controcorrente farebbe bene a cercare un altro fiume. 

venerdì 9 dicembre 2011

Voglia di sicurezza in primo piano

Santa Croce ha voglia di dire la sua. Associazioni di categoria, gruppi giovanili, movimenti civici. Tutti concordi su un punto: dare voce a chi voce non ha. Una maggiore interlocuzione con i cittadini per fare emergere le reali necessità della comunità, al di là di ogni previsione statistica. Sono soprattutto i giovani a rendersi attori del sistema, per diventare i perfetti cittadini-amministratori di domani. 
Tra questi i ragazzi di "Generazione Santa Croce", associazione promotrice di una campagna di raccolta dati per mappare i problemi dei vari quartieri, allo scopo di tracciare i livelli di efficienza ed efficacia dei vari servizi di Santa Croce. Iniziativa alla quale i cittadini stanno rispondendo con ottimi risultati. Sabato 3 dicembre l'associazione si è riunita per tirare le prime somme. Sono quasi 500 le schede compilate, delle quali decine inviate via e-mail. E molte le richieste degli esercenti di riceverne altre. I membri del gruppo hanno, quindi, deciso di continuare nei prossimi giorni con una ulteriore distribuzione delle schede valutative. "Questa seconda tranche - spiegano i ragazzi di Gsc - permetterà di raccogliere ulteriori dati e ampliare il campione di indagine al fine di rendere più precisa e attendibile la stima dei risultati". 
Porsi al centro del dialogo, contribuire nelle decisioni che possono cambiare la rotta della collettività. Nelle prossime settimane, alla chiusura dell'iniziativa, l'associazione elaborerà e pubblicherà una relazione finale dettagliata che verrà portata direttamente all'attenzione dell'amministrazione, che si è detta già disponibile ad un incontro. "Con l'iniziativa ‘Dai un giudizio al tuo quartiere e alla tua città' ci proponiamo ai santacrocesi come portavoce delle loro esigenze e dei loro problemi troppo spesso urlati solo tra i denti - continuano i ragazzi di Gsc -. Speriamo questo sia il primo passo concreto per colmare il vuoto tra i cittadini e le istituzioni, che è uno degli obiettivi primari dell'associazione". 
Tra i punti proposti nella scheda la sicurezza. Con la delicata questione la comunità camarinense si confronta quotidianamente, manifestando diverse esigenze, alcune consuete, altre tragicamente fuori dall'ordinario. I recenti episodi di microcriminalità che hanno investito la tranquilla borgata hanno destato non poche preoccupazioni tra i cittadini, che chiedono controlli, protezione. Una riunione che si è svolta lunedì presso la sede Ascom di S. Croce ha evidenziato quanto il tema della sicurezza sia al primo posto nella lista delle priorità. Il direttivo Ascom, un tecnico della sicurezza-videosorveglianza, Luigi Puglisi, e un commerciante associato, Gianni Brullo, hanno discusso l'importante problema, a pochi giorni dalla rapina a mano armata ai danni del market del vicepresidente dell'associazione, Giudice. 
"La preoccupazione tra gli esercenti è tanta - afferma il presidente Ascom Santa Croce Antonino Mandarà -. I malviventi operano anche alla luce del sole e in pieno centro. Nella riunione si è anche proposto di installare telecamere funzionanti sulle strade e anche all'interno delle attività per intensificare i controlli". 
L'associazione commercianti ha deciso, a tal proposito, di incontrare il primo cittadino Schembari per chiedere di concerto interventi mirati alle autorità competenti.

(di Alessia Cataudella, La Sicilia 8 Dicembre 2011)

giovedì 8 dicembre 2011

CONTROMANOVRA/ Baldassarri: quei 50 miliardi "ignorati" da Monti.

Il senatore Mario Baldassarri, un economista che è stato un pupillo del premio Nobel Franco Modigliani, guarda con una certa apprensione alla manovra che Mario Monti potrà “sfoggiare” domani al vertice del Consiglio europeo che si terrà a Bruxelles. E la giudica un intervento “tampone”, con il rischio che diventi una “manovra dimezzata”.
Senatore, come le sembra nel suo complesso questa manovra?
Non c’è dubbio che in questa manovra prevalgono le tasse e, quindi, non può di certo far crescere l‘economia italiana. Direi sostanzialmente che il primo punto ispiratore del governo Monti, quello del rigore, è stato ampiamente rispettato. Ora, però, a questa “locomotiva” del rigore bisogna agganciare il vagone dell’equità e, soprattutto, quello della crescita. È senza dubbio positivo che questo “intervento tampone” abbia convinto i mercati, che sinora hanno risposto bene. Ma non possiamo assolutamente fermarci a questo punto.
Lei ha sempre promosso e suggerito politiche di tagli, lotta agli sprechi e, soprattutto, dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico. Cose di cui in questa manovra non c’è traccia. 
Infatti, da questo punto di vista, mi viene da pensare che più che la prima manovra di Monti, questa sia una nuova manovra di Tremonti. A mio parere, occorreva istituire il “Fondo immobiliare italiano”, dove far conferire le proprietà pubbliche. Questo fondo potrebbe valutare bene le dismissioni, emettendo azioni e nel tempo collocare sul mercato il patrimonio immobiliare. Facciamo il caso di una caserma inutilizzabile che può diventare un grande albergo. Una simile operazione farebbe acquistare valore e alla fine si potrebbero convertire le azioni del fondo in titoli di Stato. È questo, a mio modo di vedere, il mezzo migliore per reperire risorse. Poi ci sono i tagli da fare e qui il discorso va precisato bene.
In che senso? 
Sen. Mario Baldassarri (FLI)
Si continua a parlare di taglio dei costi della politica. Se noi dimezzassimo i parlamentari e allo stesso tempo i loro stipendi, riusciremmo a risparmiare 600 milioni di euro. Se abolissimo le Province, ricaveremmo un miliardo e mezzo di euro. Ma se noi tagliassimo i cosiddetti consumi intermedi, quelli che la Pubblica amministrazione continua imperterrita a fare, si risparmierebbero 50 miliardi di euro di sprechi e malversazioni. Questo è quindi il vero punto su cui si deve tagliare. È su questa spesa che ha una voce annua di 150 miliardi di euro che occorre intervenire. Se ci limitiamo a parlare degli stipendi dei deputati e dei senatori gettiamo solo fumo negli occhi dei cittadini.
Ritiene che la manovra vada corretta? 
No, non è possibile perché si allungherebbero i tempi. La manovra va vista come un “tampone” a una situazione che ci stava portando al tracollo. Al momento occorre vararla al più presto, in modo che l‘impatto positivo già avuto sui mercati continui. Ma certo non si deve dimenticare il resto, cioè l‘equità e la crescita, altrimenti ci troveremmo con una manovra “dimezzata”.
C’è però il problema della deindicizzazione delle pensioni che sta pesando come un macigno, non solo per i sindacati, ma per quasi tutte le forze politiche. 
È vero, questo è un problema che a mio avviso occorre sistemare. Indubbiamente l‘intervento sul sistema pensionistico, con il passaggio al contributivo per tutti, attraverso il pro-rata, è un passo importante che bisognava fare già ai tempi della riforma Dini. La deindicizzazione è invece un pugno nello stomaco se si considera il principio di equità.
Che cosa si aspetta dal vertice del Consiglio europeo che inizia domani a Bruxelles? 
Al proposito mi permetta di essere piuttosto lapidario: spero solo che l‘Europa rinsavisca.

venerdì 2 dicembre 2011

Almeno Leggete Marx!

Complimenti ragazzi. Complimenti davvero. Oggi per chi non lo sapesse un manipolo di manifestanti che si definiscono “comunisti” appartenenti ai collettivi di Scienze e Politiche dell'università di Milano ha impedito che il dottor Oscar Giannino tenesse un dibattito organizzato da un' associazione studentesca sul futuro dell'euro.
Vi faccio i miei complimenti perché siete riusciti a contestare con parole pesanti quali “Fascista, distruttore di università e Berlusconiano” una persona che tutto questo non è.
Ora vi spiego chi è Oscar Giannino.
Tralasciando la sua biografia che ognuno di voi potrà benissimo leggere su Internet egli è in primis un giornalista e un economista.
Le due sue attività si intrecciano spesso collaborando con inserti economici di importanti testate giornalistiche italiane quali Il Riformista, Il Giornale, Mercati&Finanza( di cui è stato anche direttore), Libero, Il Foglio e Radio24.
Dal 2009 dirige anche il blog www.chicagoblog.it , testata di attualità economica e spesso discordante con le proposte del vecchio governo.
Ma che idea politica ha Giannino?
Ebbene lui è un repubblicano. Fin dal 1984 fa parte del Partito Repubblicano Italiano prima nella federazione giovanile poi nella direzione nazionale per poi diventare nel 1988 diventa vicedirettore della Voce Repubblicana.
Dopo tangentopoli , per l'esattezza nel 1995, per incomprensioni all'interno della dirigenza repubblicana esce dal partito e diventa collaboratore del giornale Liberal ( che per chi non lo sapesse è il quotidiano dell'UDC).
Ora al di fuori del condividere o meno le scelte politiche di Giannino, come si può dare del fascista ad un uomo che è nato e cresciuto in partiti che hanno sempre contestato il fascismo( Non penso di dover ricordare a nessuno chi sono Ugo La Malfa e Alcide De Gaspari).
Altra accusa che gli è stata rivolta oggi è di essere un uomo di Berlusconi.
Cosa più' sbagliata non gli si poteva dire.
Infatti il 4 Novembre 2011 dice,ad un dibattito organizzato a Milano dalla associazione Crescere con la Buona Politica: “ la legislatura in cui è stato creato maggior debito pubblico è stata quella in cui c'era il primo governo Berlusconi” e poi ancora “ Questo governo ci ha fatto perdere ogni tipo di credibilità all'estero anche a causa di un Presidente del Consiglio che pensa più' alle donne che al governo e ad un ministro dell'economia che è troppo attaccato alla poltrona per capire che è ora di fare un passo indietro”.
E poi ancora durante la trasmissione “Nove in punto, la versione di Oscar” da lui condotta su radio24: “... Non so dove veda Berlusconi i ristoranti pieni ma io vedo solo le tasche degli Italiani vuote”.
E potrei andare avanti ad elencare altre mille frasi contro Berlusconi e il suo governo che l'economista esplicita da due anni a questa parte.
Cari ragazzi, che dire? informatevi prima di agire.
Inoltre, e questa penso che sia la cosa peggiore che poteste fare, avete agito in nome di Marx.
Ma a quanto pare non conoscete nemmeno gli scritti di Marx; infatti egli scrive neiDibattiti sulla libertà di stampa e sulla pubblicazione dei dibattiti alla Dieta questa frase: “ la vera e propria cura radicale della censura sarebbe la sua abolizione”.

(dal BLOG dell'amico Luca Bertoletti)
http://lucabertoletti.blogspot.com/

venerdì 25 novembre 2011

25 NOVEMBRE: Giornata mondiale contro la Violenza sulle donne.

La "Giornata mondiale contro la violenza sulle donne" è stata indetta dall’Assemblea generale della Nazioni Unite  tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L'Assemblea Generale ONU ha ufficializzato la data del 25 Novembre in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime Di Rafael Léonidas Trujilllo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nel caos per oltre 30 anni.


Anche quest'anno la ricorrenza giunge come un momento di riflessione. Se si leggono i dati che riguardano l'Italia, le cifre sono da brivido: l'esercito delle vittime è composto da sette milioni di donneNell'universo femminile una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni è stata colpita nella sua vita dell'aggressività di un uomo e nel 63% dei casi, alla violenza hanno assistito i figli(dati Istat). 

Le più numerose ad essere colpite sono le donne più giovani, quelle tra i 16 e i 24 anni, ma nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate: il 96% delle donne non parla con nessuno delle violenze subite. I maggiori responsabili delle aggressioni sono i partner, artefici della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica, mentre tra le violenze in famiglia, i maggiori responsabili risultano gli zii. 


Difficilmente si riuscirà ad eliminare questo vile fenomeno ma bisogna riuscire a limitarlo sempre di più.  
Si deve  intervenire nel contesto familiare con pratiche educative che favoriscano la cultura dell'antiviolenza  e scoraggino il culto della sopraffazione, fin dalla prima infanzia. 
Si deve intervenire anche nel contesto sociale ed è necessario che il tema della Violenza sulle Donne sia inserito in maniera programmatica nelle agende dei Governi e che ci sia un'intransigente assunzione di responsabilità da parte di tutte le istituzioni.  
Si deve intervenire soprattutto nell'alimentare tanto coraggio sia nelle donne e soprattutto negli uomini: il coraggio di denunciare ed il coraggio di rispettare!

martedì 22 novembre 2011

Dietrologia e complottismo, due costanti del discorso pubblico italiano.

Sferzante ormai da molti mesi, il vento del complottismo che spira sull’Italia ha acquistato particolare vigore nelle ultime settimane.
Il nuovo Governo? Un golpe morbido, preparato da tempo, ordito con cura luciferina dalla più potente loggia massonica del mondo e dalla più importante banca d’affari del pianeta – “grande burattinaia dell’intero mercato finanziario mondiale” e dunque ispiratrice occulta dell’attuale crisi economica -: i “poteri forti”, si sostiene, avrebbero deciso di disarcionare Silvio Berlusconi non per il “bunga bunga” o per le sue abitudini private, ma per frenare la scomoda politica energetica del suo esecutivo e per accaparrarsi l’invidiabile riserva d’oro posseduta dall’Italia. I nuovi ministri degli Esteri e della Difesa? Il primo è “l’uomo che parla agli Stati Uniti”, già ambasciatore a Tel Aviv – nella cui veste agevolò la visita di Fini in Israele nel 2003 – e poi a Washington; il secondo presiede il comitato militare della Nato: ciò certificherebbe (ma i fautori del cospirazionismo non ammettono né dubbi né condizionali) la perdita di sovranità dell’Italia e dimostrerebbe l’esistenza di una “longa manus” giudaica e plutocratica. Il plauso compiaciuto della Chiesa al nuovo presidente del Consiglio? Proverebbe che il complotto in atto stia avvenendo con la benedizione di alcuni ambienti ecclesiastici, già promotori di quello “spirito di Todi” – sorto nel convegno cattolico dello scorso ottobre – che aleggerebbe sul Governo Monti. La battuta del neo-premier relativa al sole? Un “evidente” messaggio cifrato. L’omissione del termine “esclusivo” – riferito all’interesse della Nazione – da parte del nuovo ministro della Cooperazione in occasione del giuramento con cui s’insediava? Non una semplice distrazione ma la conferma di una sudditanza a poteri invisibili.
Simili teorie – a volte romanzesche e fantasiose fino al ridicolo, altre volte non prive di spunti di riflessione e germi di veridicità, ma il complottista non fa distinzioni – impazzano. Se ne parla in tv, se ne discute su molti giornali (di destra e di sinistra), internet ne trabocca. Il lemma “complotto”, con i suoi derivati e simili, è da tempo uno dei più ricorrenti. Il fenomeno non deve stupire. Per almeno due ragioni.
In primo luogo perché, come spiega bene Daniel Pipes (“Il lato oscuro della storia. L’ossessione del Grande Complotto”, 2005), le teorie cospirazioniste vere e proprie nascono con la modernità – quando le conquiste scientifiche, le scoperte geografiche e le divisioni religiose sconvolgono un orizzonte mentale sedimentato per secoli – e si manifestano con preferenza nei momenti di crisi: le trasformazioni provocano spaesamento, insicurezza e disordine. La complottomania è dunque una reazione patologica alle novità; attraverso una visione della storia in cui tutto si tiene e il caso non esiste, il cospirazionismo rappresenta una risposta appagante all’irrazionalità diffusa e ad un bisogno quasi paranoico di ordine.
Se le (indimostrabili) teorie del complotto prolificano con particolare fortuna nel nostro Paese c’è però almeno un’altra ragione: il cospirazionismo è una costante del costume e del discorso pubblico italiano. Non che altrove non si distingua tra scena e retroscena, tra verità ufficiali e verità ufficiose; non che altrove non si tenda a ricercare un capro espiatorio; non che altrove non si scorgano grandi ragnatele, intrighi diabolici, “gnomi” della finanza e tenebrose organizzazioni. Anzi: la fucina mondiale del complottismo risiede senza dubbio negli Usa. Da noi però si continua a ricordare il “venticinqueluglismo” che portò alla caduta di Mussolini, si evocano, tanto a destra quanto a sinistra, cupole affaristico-cospiratorie per ogni caso insoluto: per la morte di Moro, per la strage di Ustica o per quella alla stazione di Bologna. Ma piani occulti, grandi burattinai, società segrete – dai Templari fino alla massoneria e ai Rosa Croce -, servizi deviati e simili sono stati chiamati in causa, negli ultimi mesi, per spiegare di volta in volta la crisi tra Fini e Berlusconi, gli omicidi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Carmela Rea, le indagini di molte procure, la P3, la P4, i voti parlamentari più controversi, l’intervento militare in Libia. Un complotto è stato visto perfino nel premio che il film “Terraferma” ha ricevuto all’ultimo Festival di Venezia.
Prendiamone atto: siamo un Paese incline alla dietrologia e al complottismo. Ciò però non significa che trame torbide, più o meno oscure, non possano esistere o che non siano mai esistite. Nel recente volume “Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia”, Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella sostengono una tesi suggestiva eppure ben sorretta da documenti d’archivio: per lunghi decenni la Gran Bretagna si sarebbe adoperata in ogni modo per condizionare la politica interna ed estera italiana in modo tale da trasformare la penisola in una sorta di “protettorato” inglese. Un conto è però ammettere l’esistenza di una strategia politica che sembra avere i tratti subdoli della cospirazione; un altro conto è scorgere oscure macchinazioni ovunque e in ogni tempo: nel primo caso si è semplicemente realisti – e perfino “Apoti”, come Giuseppe Prezzolini definì “coloro che non bevono” ciò che gli altri sono disposti a mandar giù supinamente -, nel secondo caso si è complottisti in piena regola.

(di Leonardo Varasano su Istituto di Politica)

sabato 19 novembre 2011

Romana De Gasperi racconta il padre (degli Italiani).

L’Italia di uomini politici ne ha avuti parecchi, alcuni anche bravi. Di statisti pochi, troppo pochi. Alcide De Gasperi lo è stato al massimo grado. «Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni», disse una volta. Le sue scelte di quei giorni plasmarono e orientarono un Paese che usciva distrutto dalla guerra. I suoi discorsi all’estero furono ascoltati con ammirazione e portatono i loro frutti. Il tempo degli sbadigli e dei risolini era ancora lontano.
«Tutto, tranne le vostra personale cortesia, è contro di me». Con queste parole Alcide De Gasperi iniziò a parlare a Parigi, il 10 agosto 1946, in chiusura alle trattative di pace. Gli avevano fatto fare tre giorni di anticamera, prima di concedergli la parola di fronte ai 21 rappresentanti dei vincitori. Rappresentava una nazione sconfitta, che stava per essere amputata di territori e colonie, ma doveva anche dare il senso della discontinuità: la Repubblica italiana non era l’erede dello Stato fascista, bensì una nuova entità che intendeva ritagliarsi un ruolo accanto agli altri Stati democratici dell’Occidente. Il suo discorso fu talmente alto, illuminato e illuminante, che i delegati gli si fecero attorno per stringergli la mano. Altri tempi; negli anni a venire, qualora avesse parlato un italiano, l’alternativa sarebbe stata tra gli sbadigli e i risolini, con una netta prevalenza di questi ultimi nel periodo più recente.

Ieri (18 Novembre 2011), al Corso "Crescere con la Buona Politica" che si tiene a Milano, è intervenuta la figlia di Alcide De Gasperi, Maria Romana. Che si trattasse di un racconto intenso e sentito s'è avvertito sin da subito. La fede, l'amore, la famiglia, i grandi valori sono state le parole e i concetti più ricorrenti nel lungo flusso di ricordi che la figlia del grande statista ha condiviso con tutti noi presenti.
De Gasperi era devoto alla Madonna e quando durante l'Università non aveva soldi a sufficienza per mangiare, andava a prendere un piatto di minestra calda in chiesa. Di origini trentine, De Gasperi vive le difficoltà della grande guerra e non mancano i suoi ricordi di quando "le donne piangevano, pioveva e faceva freddo...i giovani venivano mandati al fronte, venivano spinti ad uccidere ma andavano senza ira e non c'era niente che li ispirava a fare quello che gli veniva richiesto".
Dopo la pace, nel 1921, De Gasperi si trova in Italia e viene chiamato a sedere alla camera come deputato delle "sue" valli trentine: "io non pensavo ci fosse tanto rumore in Parlamento" fu uno dei suoi primi commenti. Chissà oggi cosa direbbe se vedesse quelle ignobili scene che animano quotidianamente le bagarre dell'emiciclo.

Imprigionato durante i primi anni del Ventennio, tra  le sue lettere dalla prigione si legge: "forse potevo essere più gentile con il fascismo, però se io fossi stato così non mi avreste amato". Ovviamente la lettera era destinata alla famiglia, elemento fondamentale della sua vita,"il porto dove il Politico può riposare".

Viene impiegato come bibliotecario presso la Biblioteca Vaticana ma presto viene affiancato alla politica. In un articolo, Missiroli invita De Gasperi: "fai presto, c'è bisogno del tuo coraggio".
Nelle campagne elettorali ricordava sempre la parola di Dio con serenità e rispetto. Spirito e fede erano la sua forza vitale ed era convinto che "il Signore da la forza e il coraggio per fare, poi quando hai svolto il tuo compito ti dice basta. Non siamo fatti per le cose infinite.". E De Gasperi effettivamente aveva fatto tutto quello che era nelle sue possibilità. Con Adenauer e Schuman avevano gettato le basi affinchè l'Europa non fosse più teatro di guerre e devastazione. I padri fondatori ci hanno lasciato in eredità i concentti di fraternità e condivisione!

A sinistra Romana De Gasperi,
a destra Enrico Marcora (Consigliere regione Lombardia)
Romana De Gasperi è convinta che oggi sia a livello nazionale, ma ancor più a livello Europeo, manca la passione e la comunicazione di quello che si fa. Se non c'è comunicazione non c'è interesse. 
Serve una nuova legge elettorale, altrimenti le strade per noi giovani (puliti e volenterosi) saranno sempre chiuse.
Proprio come fece il padre Alcide, bisogna convincere gli altri Paesi protagonisti della scena mondiale che l'Italia è una cosa seria. Ai tempi l'unica garanzia per convincere gli USA della necessità del Piano Marshall fu la persona di De Gasperi, oggi dobbiamo essere noi Italiani, soprattutto i giovani.

Ultimo concetto chiave: COESIONE. Coesione nazionale ma soprattutto coesione delle forze politiche.
Un aneddoto riportato da Romana De Gasperi racconta che un giorno Togliatti e De Gasperi erano nello stesso treno ma in vagoni diversi. Entrambi sapevano della presenza dell'altro ma non si cercarono. Togliatti scendendo dal treno dimenticò un mazzo di garofani rossi. Il giorno dopo De Gasperi fece recapitare nell'ufficio del rivale politico un mazzo di garofani bianchi con il messaggio: nelle mie mani i tuoi garofani sono diventati bianchi.

mercoledì 9 novembre 2011

Berlino (ri)chiama Italia. Il calcio come esempio di coesione nazionale.

9/11/1989 
In poche ore, centinaia di migliaia di persone scesero in piazza, oltrepassarono la linea di confine, riabbracciarono i propri cari, e festeggiarono, ebbri di felicità e commozione per la libertà ritrovata.
Le immagini del crollo del Muro di Berlino,  hanno un significato storico enorme, di fine di un'epoca. Il disfacimento dell'URSS, prima per l'incalzare del riformismo Gorbacëviano, poi sotto i colpi mortali della crisi economica, delle richieste autonomistiche e del crollo della legittimazione del potere sovietico nel giro di pochi anni hanno messo fine , più o meno definitivamente, al bipolarismo(URSS-USA) che aveva retto le sorti del mondo dal 1945. 
Certo, rilevano però gli analisti più prudenti, anche se più libero, il mondo del "dopo-1989" è paradossalmente più instabile di quello congelato dai regimi comunisti e ingabbiato nella paura della distruzione nucleare del tempo della Guerra Fredda. Il diffondersi di nazionalismi, l'affermarsi del terrorismo fondamentalista, gli spazi di incertezza che questa instabilità crea, i rischi di una proliferazione nucleare anche con potenze minori e governi meno responsabili, soprattutto la difficoltà di porre argine a crisi politiche e militari che insidiano anche i margini più vicini all’area unitaria dell’Europa, sono delle variabili poco rassicuranti.

Il Presidente della Camera Gianfranco Fini, nel suo libro "IL FUTURO DELLA LIBERTA'. Consigli non richiesti ai nati nel 1989" afferma: "La caduta del Muro di Berlino ha cambiato la vita degli europei, a Est come a Ovest. Crollate le barriere e venute meno le grandi opposizioni ideologiche, è finalmente diventato possibile lavorare per una nuova libertà, piena e allargata: risultato cui si può puntare solo affrancandosi della pesante eredità delle vecchie ideologie, per interpretare il mondo secondo codici nuovi, trovando punti di vista originali".

9/11/2011
In poche ore, centinaia di migliaia di persone hanno inondato il web di immagini, post, video, articoli ed hanno iniziato a festeggiare,ebbri di felicità e commozione, per la "libertà" ritrovata. 
Ieri è stata approvata alla Camera la mozione sul rendiconto dello Stato con soli 308 voti. Cioè otto meno della maggioranza assoluta, che quindi non c'è più. Il Premier Berlusconi è salito quindi al Quirinale per annunciare le dimissioni (?) subito dopo l'approvazione della legge di stabilità. Tradotto: lunedì l'Italia potrebbe mettere fine, più o meno definitivamente, all'era Berlusconiana e al Bipolarismo muscolare che regge le sorti dell'Italia dal 1994.
Anche oggi ci sono degli analisti prudenti, non dichiaratamente pidiellini, che rilevano quanto l'Italia "post-belusconiana" rischia di essere ancora più instabile di quella "arcore-centrica" e legata ai voti (comprati) di "fiducia".
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una nota afferma: "servono nuovi comportamenti anche nelle istituzioni da parte delle forze politiche. Per tirarci fuori dalla condizione critica e allarmante in cui ci troviamo occorre che cadano troppe chiusure e vecchi tabù, si crei un clima di confronto più aperto e obiettivo, ancorato ai problemi reali della società e dello Stato e allo loro possibili soluzioni. Abbiamo bisogno di decisioni presto e nei prossimi anni per esprimere una rinnovata responsabilità e coesione nazionale».

Tra altri 20 anni (forse) avremo le idee più chiare e potremo trarre le dovute conclusioni. Ora non ci resta che (ri)fare l'Italia magari prendendo ad esempio lo spirito di coesione nazionale sperimentato sempre a Berlino, sempre giorno 9, sempre in un momento di crisi nazionale com'è stato calciopoli.

martedì 8 novembre 2011

Parola d'ordine: ITALIANI.

Tante parole pochi fatti. Pochissimi. Ogni giorno su quotidiani, TV, social network scorrono fiumi di buoni propositi che invitano a cambiare marcia e rilanciare finalmente il nostro Paese. 
Ma con quale risultato?? Nessuno.
Non sono serviti gli Indignati, non sono serviti i moniti della BCE, non è servita la sfiducia del FMI e non servirà neanche la caduta di Berlusconi: serviamo NOI, gli ITALIANI.
Uno slogan dell’UDC di Casini dice “quando gli Italiani si uniscono sono capaci di grandi imprese” ed è vero. Verissimo. Lo dimostra la storia, lo dimostrano le scienze sociali, lo dimostriamo ogni giorno quando messi alle strette diamo il meglio di noi.
Chiuso il capitolo Berlusconi non è detto che tutto andrà magicamente meglio come se i mercati economici si muovessero sotto l’inerzia del tanto peggio, tanto meglio.
La tanto invocata Democrazia diretta o partecipativa è aberrante. Bisogna invece proporre una Democrazia informata che coinvolga tutti in maniera propositiva e virtuosa.
La questione generazionale è di primaria importanza ma bisogna prima risistemare il sistema Paese, sempre più vittima di squilibri socio-economici che ne minano la stabilità.
In Inghilterra il premier Cameron, attraverso 10 domande, chiede ai cittadini se sono felici. NOI ITALIANI invece dovremmo riscoprire quanto proposto da Ludovico Antonio Muratori il quale, già nel 1749, distingue la ricerca della felicità individuale, che è tipico impulso umano e che nasce dalla natura ma che può trasformarsi in vizio, dalla pubblica felicità che è sempre positiva.
Non bisogna pretendere che i cittadini siano migliori: dobbiamo pretendere che ci vengano date le possibilità affinché possiamo diventarlo.
Bisogna catalizzare le forze propulsive dell’indignazione in impegno pubblico e sociale. Passino gli indignati intesi come aggettivo, ma non si possono accettare gli indignati intesi come sostantivo, come categoria sociale.
Dal 2007 in Italia c’è un nuovo modo per distrarre le masse ovvero s’è iniziato a parlare di Innovazione. Con questo termine si sono sostituiti altri concetti forse ormai scomodi: non s’è più parlato (in maniera programmatica e sostenibile) di produzione, di sviluppo né di management.
La politica deve riacquistare la sua finalità pedagogica e soprattutto deve avviare un processo di potatura dei “rami secchi”.
Alessandro Rimassa, co-autore di “Generazione Mille Euro” e Direttore di IED Centro Ricerche,  durante i seminari di “STRA.DE” a Viterbo ha proposto di ridisegnare la politica con il design e in particolare con la mappa del Design Thinking. In breve: chi ha la Vision non può essere il Project Manager. Chi può dire oggi se questa è una strada percorribile o meno? Almeno è un’idea concreta e chiaramente definita.
E’ proprio la concretezza che oggi manca. Ci si perde in voli pindarici per cercare di afferrare l’infinito quando basterebbero piccoli gesti concreti per risolvere problemi contingenti.

Ero partito bene ma mi sono perso anch’io in mille parole e altrettanti buoni propositi. Ancora una volta non è il singolo a poter cambiare le cose ma dobbiamo essere tutti insieme protagonisti del cambiamento.

Ai tempi dell’Unità d’Italia Massimo D’Azeglio diceva: “abbiamo fatto l’Italia, si tratta adesso di fare gli Italiani”.
Oggi, 150 anni dopo, possiamo dire: “abbiamo fatto gli Italiani, si tratta adesso di (ri)fare l’Italia”.


venerdì 4 novembre 2011

Il vero porcellum è il disinteresse dei giovani e nei confronti dei giovani.

Come sconfessare Aristotele e come salvare Dante.
Quella attuale potrebbe essere definita come l’era del possibilismo, intesa non come l’era delle possibilità, ma come l’era dove tutto è possibile. E’possibile che a Milano l’estate duri fino al 6 ottobre, è possibile che un insignificante ed immensamente piccolo neutrino superi le straordinarie teorie dell’immensamente grande Einstein.
E’ possibile che un tuareg nel bel mezzo del deserto comunichi in tempo reale con un Inuit dell’Alaska ma è pure possibile, anzi è realtà che si sconfessi quanto postulato da uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi: Aristotele.
Arisotele diceva: “I giovani non sono sospettosi perché di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati”.
Tralasciando la prima parte, è la seconda che ci riguarda molto da vicino.
Ai giovani viene sempre chiesto di ascoltare, ma non vengono mai ascoltati, perlomeno con la dovuta attenzione. I giovani vengono sempre tirati in ballo e usati come ariete quando c’è da guadagnare consenso, quando c’è da riposizionare le linee politiche dei partiti ma soprattutto quando bisogna metterci la faccia (fisicamente ma non intellettualmente!).

I giovani sono sfiduciati perché si sentono ingannati. Sempre di più.

Oggi si sente parlare sempre più insistentemente ma sempre meno programmaticamente di Democrazia Diretta: ebbene, si alla Democrazia Diretta ma non intesa come Anarchia diretta.
Sono tantissimi i forums, i blogs, i Tweets, i posts e le pagine Facebook inondate di appelli giovanili affinché i grandi ascoltino la nostra voce ma, purtroppo, nel magma socio-mediale la sommatoria delle insofferenze non  evolve in un unico appello generazionale. Così finisce per polverizzarsi e viene spazzato via.
Tutto questo porta ad un paradosso che io personalmente definisco paradosso della comunicazione incomunicabile.
Nell’era in cui la comunicazione crossmediale sembra realizzare il concetto di Villaggio Globale, teorizzato da Marshall Mc Luhan  nel 1968 e modificato nella forma ma non nella sostanza dal web 2.0, i giovani sembrano i cittadini privilegiati di questa comunità globale virtuale fondata sull’abbondanza comunicativa ma purtroppo continuiamo a non saper esportare e comunicare in maniera pragmatica e con lo stesso impeto e la stessa “violenza” le nostre idee ed i nostri sogni nella vita reale di tutti i giorni. Per dirla alla Celentano: il web è rock, la realtà e lento!
La fluidità e i ritmi frenetici dell’innovazione e del progresso in tutti i campi rendono ormai impensabili dei modelli socio-economici e politici fissi e applicabili  all’intera umanità globalizzata dobbiamo quindi rivedere un bel po’ di cose.
Soprattutto nella nostra realtà contingente, ovvero l’Italia, è tutto da rivedere. Viviamo di rendita da troppo tempo. Quando siamo in crisi però ci rifugiamo dietro l’ormai obsoleta espressione che ci indicava come il Bel Paese.
Cos’è rimasto di bello in un Paese dove non si investe nella ricerca, dove la disoccupazione giovanile sfiora il 30 %, dove “i cervelli” sono in fuga e tanti altri, implorati dagli stessi genitori, fuggiranno non appena laureati?? Cosa c’è di bello in un Paese dove nel 150° anniversario dell’Unità nazionale si parla sempre più insistentemente di Padania ma anche di movimenti Neoborbonici?
Infine, cos’è rimasto di serio in un Paese dove il premier, seppur non sia nuovo a simili boutade, se ne esce con Forza Gnocca e un programma di satira francese “le news de la semaine” riprendendo l’episodio, alla domanda “il nome del nuovo partito di Berlusconi?” suggerisce come opzione corretta “allez Minetti” ??
La sensazione è che non sia rimasto davvero nulla e se non avessimo quell’orgoglio che tanto ci contraddistingue avremmo già alzato bandiera bianca.
Un segnale importante viene da uno degli Italiani più stimati nel mondo, ovvero Mario Draghi.  Secondo il futuro Presidente della BCE «Senza giovani non si cresce» e solo rimuovendo le rigidità che impediscono lo sviluppo delle potenzialità delle giovani generazioni si potrà ricondurre l'economia italiana al rilancio.

Un'altra Italia c’è ed è l’Italia di tutti quei giovani citati da Mario Draghi e che hanno voglia di restare in questo Paese.
Un’Italia unita da Bolzano a  Santa Croce Camerina, un ‘Italia che crede ancora nella meritocrazia, nell’identità nazionale e nella legalità.
Un’Italia che sostiene fermamente l’integrazione e che non può prescindere da un valore-diritto-dovere qual’è il lavoro.
Un Italia che rimetta in moto l’ascensore sociale e che punti ad uno sviluppo sostenibile.
Un’Italia laica e sempre più europeista.

Dante, nel 33° canto dell’Inferno parlava degli italiani come “Le genti del bel paese là dove 'l sì suona”. Bene. Dopo aver sconfessato Einstein e Aristotele proviamo a salvare Dante:
DICIAMO SI ALLA RINASCITA DELL’ITALIA.