martedì 22 novembre 2011

Dietrologia e complottismo, due costanti del discorso pubblico italiano.

Sferzante ormai da molti mesi, il vento del complottismo che spira sull’Italia ha acquistato particolare vigore nelle ultime settimane.
Il nuovo Governo? Un golpe morbido, preparato da tempo, ordito con cura luciferina dalla più potente loggia massonica del mondo e dalla più importante banca d’affari del pianeta – “grande burattinaia dell’intero mercato finanziario mondiale” e dunque ispiratrice occulta dell’attuale crisi economica -: i “poteri forti”, si sostiene, avrebbero deciso di disarcionare Silvio Berlusconi non per il “bunga bunga” o per le sue abitudini private, ma per frenare la scomoda politica energetica del suo esecutivo e per accaparrarsi l’invidiabile riserva d’oro posseduta dall’Italia. I nuovi ministri degli Esteri e della Difesa? Il primo è “l’uomo che parla agli Stati Uniti”, già ambasciatore a Tel Aviv – nella cui veste agevolò la visita di Fini in Israele nel 2003 – e poi a Washington; il secondo presiede il comitato militare della Nato: ciò certificherebbe (ma i fautori del cospirazionismo non ammettono né dubbi né condizionali) la perdita di sovranità dell’Italia e dimostrerebbe l’esistenza di una “longa manus” giudaica e plutocratica. Il plauso compiaciuto della Chiesa al nuovo presidente del Consiglio? Proverebbe che il complotto in atto stia avvenendo con la benedizione di alcuni ambienti ecclesiastici, già promotori di quello “spirito di Todi” – sorto nel convegno cattolico dello scorso ottobre – che aleggerebbe sul Governo Monti. La battuta del neo-premier relativa al sole? Un “evidente” messaggio cifrato. L’omissione del termine “esclusivo” – riferito all’interesse della Nazione – da parte del nuovo ministro della Cooperazione in occasione del giuramento con cui s’insediava? Non una semplice distrazione ma la conferma di una sudditanza a poteri invisibili.
Simili teorie – a volte romanzesche e fantasiose fino al ridicolo, altre volte non prive di spunti di riflessione e germi di veridicità, ma il complottista non fa distinzioni – impazzano. Se ne parla in tv, se ne discute su molti giornali (di destra e di sinistra), internet ne trabocca. Il lemma “complotto”, con i suoi derivati e simili, è da tempo uno dei più ricorrenti. Il fenomeno non deve stupire. Per almeno due ragioni.
In primo luogo perché, come spiega bene Daniel Pipes (“Il lato oscuro della storia. L’ossessione del Grande Complotto”, 2005), le teorie cospirazioniste vere e proprie nascono con la modernità – quando le conquiste scientifiche, le scoperte geografiche e le divisioni religiose sconvolgono un orizzonte mentale sedimentato per secoli – e si manifestano con preferenza nei momenti di crisi: le trasformazioni provocano spaesamento, insicurezza e disordine. La complottomania è dunque una reazione patologica alle novità; attraverso una visione della storia in cui tutto si tiene e il caso non esiste, il cospirazionismo rappresenta una risposta appagante all’irrazionalità diffusa e ad un bisogno quasi paranoico di ordine.
Se le (indimostrabili) teorie del complotto prolificano con particolare fortuna nel nostro Paese c’è però almeno un’altra ragione: il cospirazionismo è una costante del costume e del discorso pubblico italiano. Non che altrove non si distingua tra scena e retroscena, tra verità ufficiali e verità ufficiose; non che altrove non si tenda a ricercare un capro espiatorio; non che altrove non si scorgano grandi ragnatele, intrighi diabolici, “gnomi” della finanza e tenebrose organizzazioni. Anzi: la fucina mondiale del complottismo risiede senza dubbio negli Usa. Da noi però si continua a ricordare il “venticinqueluglismo” che portò alla caduta di Mussolini, si evocano, tanto a destra quanto a sinistra, cupole affaristico-cospiratorie per ogni caso insoluto: per la morte di Moro, per la strage di Ustica o per quella alla stazione di Bologna. Ma piani occulti, grandi burattinai, società segrete – dai Templari fino alla massoneria e ai Rosa Croce -, servizi deviati e simili sono stati chiamati in causa, negli ultimi mesi, per spiegare di volta in volta la crisi tra Fini e Berlusconi, gli omicidi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Carmela Rea, le indagini di molte procure, la P3, la P4, i voti parlamentari più controversi, l’intervento militare in Libia. Un complotto è stato visto perfino nel premio che il film “Terraferma” ha ricevuto all’ultimo Festival di Venezia.
Prendiamone atto: siamo un Paese incline alla dietrologia e al complottismo. Ciò però non significa che trame torbide, più o meno oscure, non possano esistere o che non siano mai esistite. Nel recente volume “Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia”, Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella sostengono una tesi suggestiva eppure ben sorretta da documenti d’archivio: per lunghi decenni la Gran Bretagna si sarebbe adoperata in ogni modo per condizionare la politica interna ed estera italiana in modo tale da trasformare la penisola in una sorta di “protettorato” inglese. Un conto è però ammettere l’esistenza di una strategia politica che sembra avere i tratti subdoli della cospirazione; un altro conto è scorgere oscure macchinazioni ovunque e in ogni tempo: nel primo caso si è semplicemente realisti – e perfino “Apoti”, come Giuseppe Prezzolini definì “coloro che non bevono” ciò che gli altri sono disposti a mandar giù supinamente -, nel secondo caso si è complottisti in piena regola.

(di Leonardo Varasano su Istituto di Politica)

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