venerdì 25 novembre 2011

25 NOVEMBRE: Giornata mondiale contro la Violenza sulle donne.

La "Giornata mondiale contro la violenza sulle donne" è stata indetta dall’Assemblea generale della Nazioni Unite  tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L'Assemblea Generale ONU ha ufficializzato la data del 25 Novembre in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime Di Rafael Léonidas Trujilllo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nel caos per oltre 30 anni.


Anche quest'anno la ricorrenza giunge come un momento di riflessione. Se si leggono i dati che riguardano l'Italia, le cifre sono da brivido: l'esercito delle vittime è composto da sette milioni di donneNell'universo femminile una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni è stata colpita nella sua vita dell'aggressività di un uomo e nel 63% dei casi, alla violenza hanno assistito i figli(dati Istat). 

Le più numerose ad essere colpite sono le donne più giovani, quelle tra i 16 e i 24 anni, ma nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate: il 96% delle donne non parla con nessuno delle violenze subite. I maggiori responsabili delle aggressioni sono i partner, artefici della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica, mentre tra le violenze in famiglia, i maggiori responsabili risultano gli zii. 


Difficilmente si riuscirà ad eliminare questo vile fenomeno ma bisogna riuscire a limitarlo sempre di più.  
Si deve  intervenire nel contesto familiare con pratiche educative che favoriscano la cultura dell'antiviolenza  e scoraggino il culto della sopraffazione, fin dalla prima infanzia. 
Si deve intervenire anche nel contesto sociale ed è necessario che il tema della Violenza sulle Donne sia inserito in maniera programmatica nelle agende dei Governi e che ci sia un'intransigente assunzione di responsabilità da parte di tutte le istituzioni.  
Si deve intervenire soprattutto nell'alimentare tanto coraggio sia nelle donne e soprattutto negli uomini: il coraggio di denunciare ed il coraggio di rispettare!

martedì 22 novembre 2011

Dietrologia e complottismo, due costanti del discorso pubblico italiano.

Sferzante ormai da molti mesi, il vento del complottismo che spira sull’Italia ha acquistato particolare vigore nelle ultime settimane.
Il nuovo Governo? Un golpe morbido, preparato da tempo, ordito con cura luciferina dalla più potente loggia massonica del mondo e dalla più importante banca d’affari del pianeta – “grande burattinaia dell’intero mercato finanziario mondiale” e dunque ispiratrice occulta dell’attuale crisi economica -: i “poteri forti”, si sostiene, avrebbero deciso di disarcionare Silvio Berlusconi non per il “bunga bunga” o per le sue abitudini private, ma per frenare la scomoda politica energetica del suo esecutivo e per accaparrarsi l’invidiabile riserva d’oro posseduta dall’Italia. I nuovi ministri degli Esteri e della Difesa? Il primo è “l’uomo che parla agli Stati Uniti”, già ambasciatore a Tel Aviv – nella cui veste agevolò la visita di Fini in Israele nel 2003 – e poi a Washington; il secondo presiede il comitato militare della Nato: ciò certificherebbe (ma i fautori del cospirazionismo non ammettono né dubbi né condizionali) la perdita di sovranità dell’Italia e dimostrerebbe l’esistenza di una “longa manus” giudaica e plutocratica. Il plauso compiaciuto della Chiesa al nuovo presidente del Consiglio? Proverebbe che il complotto in atto stia avvenendo con la benedizione di alcuni ambienti ecclesiastici, già promotori di quello “spirito di Todi” – sorto nel convegno cattolico dello scorso ottobre – che aleggerebbe sul Governo Monti. La battuta del neo-premier relativa al sole? Un “evidente” messaggio cifrato. L’omissione del termine “esclusivo” – riferito all’interesse della Nazione – da parte del nuovo ministro della Cooperazione in occasione del giuramento con cui s’insediava? Non una semplice distrazione ma la conferma di una sudditanza a poteri invisibili.
Simili teorie – a volte romanzesche e fantasiose fino al ridicolo, altre volte non prive di spunti di riflessione e germi di veridicità, ma il complottista non fa distinzioni – impazzano. Se ne parla in tv, se ne discute su molti giornali (di destra e di sinistra), internet ne trabocca. Il lemma “complotto”, con i suoi derivati e simili, è da tempo uno dei più ricorrenti. Il fenomeno non deve stupire. Per almeno due ragioni.
In primo luogo perché, come spiega bene Daniel Pipes (“Il lato oscuro della storia. L’ossessione del Grande Complotto”, 2005), le teorie cospirazioniste vere e proprie nascono con la modernità – quando le conquiste scientifiche, le scoperte geografiche e le divisioni religiose sconvolgono un orizzonte mentale sedimentato per secoli – e si manifestano con preferenza nei momenti di crisi: le trasformazioni provocano spaesamento, insicurezza e disordine. La complottomania è dunque una reazione patologica alle novità; attraverso una visione della storia in cui tutto si tiene e il caso non esiste, il cospirazionismo rappresenta una risposta appagante all’irrazionalità diffusa e ad un bisogno quasi paranoico di ordine.
Se le (indimostrabili) teorie del complotto prolificano con particolare fortuna nel nostro Paese c’è però almeno un’altra ragione: il cospirazionismo è una costante del costume e del discorso pubblico italiano. Non che altrove non si distingua tra scena e retroscena, tra verità ufficiali e verità ufficiose; non che altrove non si tenda a ricercare un capro espiatorio; non che altrove non si scorgano grandi ragnatele, intrighi diabolici, “gnomi” della finanza e tenebrose organizzazioni. Anzi: la fucina mondiale del complottismo risiede senza dubbio negli Usa. Da noi però si continua a ricordare il “venticinqueluglismo” che portò alla caduta di Mussolini, si evocano, tanto a destra quanto a sinistra, cupole affaristico-cospiratorie per ogni caso insoluto: per la morte di Moro, per la strage di Ustica o per quella alla stazione di Bologna. Ma piani occulti, grandi burattinai, società segrete – dai Templari fino alla massoneria e ai Rosa Croce -, servizi deviati e simili sono stati chiamati in causa, negli ultimi mesi, per spiegare di volta in volta la crisi tra Fini e Berlusconi, gli omicidi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Carmela Rea, le indagini di molte procure, la P3, la P4, i voti parlamentari più controversi, l’intervento militare in Libia. Un complotto è stato visto perfino nel premio che il film “Terraferma” ha ricevuto all’ultimo Festival di Venezia.
Prendiamone atto: siamo un Paese incline alla dietrologia e al complottismo. Ciò però non significa che trame torbide, più o meno oscure, non possano esistere o che non siano mai esistite. Nel recente volume “Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia”, Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella sostengono una tesi suggestiva eppure ben sorretta da documenti d’archivio: per lunghi decenni la Gran Bretagna si sarebbe adoperata in ogni modo per condizionare la politica interna ed estera italiana in modo tale da trasformare la penisola in una sorta di “protettorato” inglese. Un conto è però ammettere l’esistenza di una strategia politica che sembra avere i tratti subdoli della cospirazione; un altro conto è scorgere oscure macchinazioni ovunque e in ogni tempo: nel primo caso si è semplicemente realisti – e perfino “Apoti”, come Giuseppe Prezzolini definì “coloro che non bevono” ciò che gli altri sono disposti a mandar giù supinamente -, nel secondo caso si è complottisti in piena regola.

(di Leonardo Varasano su Istituto di Politica)

sabato 19 novembre 2011

Romana De Gasperi racconta il padre (degli Italiani).

L’Italia di uomini politici ne ha avuti parecchi, alcuni anche bravi. Di statisti pochi, troppo pochi. Alcide De Gasperi lo è stato al massimo grado. «Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni», disse una volta. Le sue scelte di quei giorni plasmarono e orientarono un Paese che usciva distrutto dalla guerra. I suoi discorsi all’estero furono ascoltati con ammirazione e portatono i loro frutti. Il tempo degli sbadigli e dei risolini era ancora lontano.
«Tutto, tranne le vostra personale cortesia, è contro di me». Con queste parole Alcide De Gasperi iniziò a parlare a Parigi, il 10 agosto 1946, in chiusura alle trattative di pace. Gli avevano fatto fare tre giorni di anticamera, prima di concedergli la parola di fronte ai 21 rappresentanti dei vincitori. Rappresentava una nazione sconfitta, che stava per essere amputata di territori e colonie, ma doveva anche dare il senso della discontinuità: la Repubblica italiana non era l’erede dello Stato fascista, bensì una nuova entità che intendeva ritagliarsi un ruolo accanto agli altri Stati democratici dell’Occidente. Il suo discorso fu talmente alto, illuminato e illuminante, che i delegati gli si fecero attorno per stringergli la mano. Altri tempi; negli anni a venire, qualora avesse parlato un italiano, l’alternativa sarebbe stata tra gli sbadigli e i risolini, con una netta prevalenza di questi ultimi nel periodo più recente.

Ieri (18 Novembre 2011), al Corso "Crescere con la Buona Politica" che si tiene a Milano, è intervenuta la figlia di Alcide De Gasperi, Maria Romana. Che si trattasse di un racconto intenso e sentito s'è avvertito sin da subito. La fede, l'amore, la famiglia, i grandi valori sono state le parole e i concetti più ricorrenti nel lungo flusso di ricordi che la figlia del grande statista ha condiviso con tutti noi presenti.
De Gasperi era devoto alla Madonna e quando durante l'Università non aveva soldi a sufficienza per mangiare, andava a prendere un piatto di minestra calda in chiesa. Di origini trentine, De Gasperi vive le difficoltà della grande guerra e non mancano i suoi ricordi di quando "le donne piangevano, pioveva e faceva freddo...i giovani venivano mandati al fronte, venivano spinti ad uccidere ma andavano senza ira e non c'era niente che li ispirava a fare quello che gli veniva richiesto".
Dopo la pace, nel 1921, De Gasperi si trova in Italia e viene chiamato a sedere alla camera come deputato delle "sue" valli trentine: "io non pensavo ci fosse tanto rumore in Parlamento" fu uno dei suoi primi commenti. Chissà oggi cosa direbbe se vedesse quelle ignobili scene che animano quotidianamente le bagarre dell'emiciclo.

Imprigionato durante i primi anni del Ventennio, tra  le sue lettere dalla prigione si legge: "forse potevo essere più gentile con il fascismo, però se io fossi stato così non mi avreste amato". Ovviamente la lettera era destinata alla famiglia, elemento fondamentale della sua vita,"il porto dove il Politico può riposare".

Viene impiegato come bibliotecario presso la Biblioteca Vaticana ma presto viene affiancato alla politica. In un articolo, Missiroli invita De Gasperi: "fai presto, c'è bisogno del tuo coraggio".
Nelle campagne elettorali ricordava sempre la parola di Dio con serenità e rispetto. Spirito e fede erano la sua forza vitale ed era convinto che "il Signore da la forza e il coraggio per fare, poi quando hai svolto il tuo compito ti dice basta. Non siamo fatti per le cose infinite.". E De Gasperi effettivamente aveva fatto tutto quello che era nelle sue possibilità. Con Adenauer e Schuman avevano gettato le basi affinchè l'Europa non fosse più teatro di guerre e devastazione. I padri fondatori ci hanno lasciato in eredità i concentti di fraternità e condivisione!

A sinistra Romana De Gasperi,
a destra Enrico Marcora (Consigliere regione Lombardia)
Romana De Gasperi è convinta che oggi sia a livello nazionale, ma ancor più a livello Europeo, manca la passione e la comunicazione di quello che si fa. Se non c'è comunicazione non c'è interesse. 
Serve una nuova legge elettorale, altrimenti le strade per noi giovani (puliti e volenterosi) saranno sempre chiuse.
Proprio come fece il padre Alcide, bisogna convincere gli altri Paesi protagonisti della scena mondiale che l'Italia è una cosa seria. Ai tempi l'unica garanzia per convincere gli USA della necessità del Piano Marshall fu la persona di De Gasperi, oggi dobbiamo essere noi Italiani, soprattutto i giovani.

Ultimo concetto chiave: COESIONE. Coesione nazionale ma soprattutto coesione delle forze politiche.
Un aneddoto riportato da Romana De Gasperi racconta che un giorno Togliatti e De Gasperi erano nello stesso treno ma in vagoni diversi. Entrambi sapevano della presenza dell'altro ma non si cercarono. Togliatti scendendo dal treno dimenticò un mazzo di garofani rossi. Il giorno dopo De Gasperi fece recapitare nell'ufficio del rivale politico un mazzo di garofani bianchi con il messaggio: nelle mie mani i tuoi garofani sono diventati bianchi.

mercoledì 9 novembre 2011

Berlino (ri)chiama Italia. Il calcio come esempio di coesione nazionale.

9/11/1989 
In poche ore, centinaia di migliaia di persone scesero in piazza, oltrepassarono la linea di confine, riabbracciarono i propri cari, e festeggiarono, ebbri di felicità e commozione per la libertà ritrovata.
Le immagini del crollo del Muro di Berlino,  hanno un significato storico enorme, di fine di un'epoca. Il disfacimento dell'URSS, prima per l'incalzare del riformismo Gorbacëviano, poi sotto i colpi mortali della crisi economica, delle richieste autonomistiche e del crollo della legittimazione del potere sovietico nel giro di pochi anni hanno messo fine , più o meno definitivamente, al bipolarismo(URSS-USA) che aveva retto le sorti del mondo dal 1945. 
Certo, rilevano però gli analisti più prudenti, anche se più libero, il mondo del "dopo-1989" è paradossalmente più instabile di quello congelato dai regimi comunisti e ingabbiato nella paura della distruzione nucleare del tempo della Guerra Fredda. Il diffondersi di nazionalismi, l'affermarsi del terrorismo fondamentalista, gli spazi di incertezza che questa instabilità crea, i rischi di una proliferazione nucleare anche con potenze minori e governi meno responsabili, soprattutto la difficoltà di porre argine a crisi politiche e militari che insidiano anche i margini più vicini all’area unitaria dell’Europa, sono delle variabili poco rassicuranti.

Il Presidente della Camera Gianfranco Fini, nel suo libro "IL FUTURO DELLA LIBERTA'. Consigli non richiesti ai nati nel 1989" afferma: "La caduta del Muro di Berlino ha cambiato la vita degli europei, a Est come a Ovest. Crollate le barriere e venute meno le grandi opposizioni ideologiche, è finalmente diventato possibile lavorare per una nuova libertà, piena e allargata: risultato cui si può puntare solo affrancandosi della pesante eredità delle vecchie ideologie, per interpretare il mondo secondo codici nuovi, trovando punti di vista originali".

9/11/2011
In poche ore, centinaia di migliaia di persone hanno inondato il web di immagini, post, video, articoli ed hanno iniziato a festeggiare,ebbri di felicità e commozione, per la "libertà" ritrovata. 
Ieri è stata approvata alla Camera la mozione sul rendiconto dello Stato con soli 308 voti. Cioè otto meno della maggioranza assoluta, che quindi non c'è più. Il Premier Berlusconi è salito quindi al Quirinale per annunciare le dimissioni (?) subito dopo l'approvazione della legge di stabilità. Tradotto: lunedì l'Italia potrebbe mettere fine, più o meno definitivamente, all'era Berlusconiana e al Bipolarismo muscolare che regge le sorti dell'Italia dal 1994.
Anche oggi ci sono degli analisti prudenti, non dichiaratamente pidiellini, che rilevano quanto l'Italia "post-belusconiana" rischia di essere ancora più instabile di quella "arcore-centrica" e legata ai voti (comprati) di "fiducia".
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una nota afferma: "servono nuovi comportamenti anche nelle istituzioni da parte delle forze politiche. Per tirarci fuori dalla condizione critica e allarmante in cui ci troviamo occorre che cadano troppe chiusure e vecchi tabù, si crei un clima di confronto più aperto e obiettivo, ancorato ai problemi reali della società e dello Stato e allo loro possibili soluzioni. Abbiamo bisogno di decisioni presto e nei prossimi anni per esprimere una rinnovata responsabilità e coesione nazionale».

Tra altri 20 anni (forse) avremo le idee più chiare e potremo trarre le dovute conclusioni. Ora non ci resta che (ri)fare l'Italia magari prendendo ad esempio lo spirito di coesione nazionale sperimentato sempre a Berlino, sempre giorno 9, sempre in un momento di crisi nazionale com'è stato calciopoli.

martedì 8 novembre 2011

Parola d'ordine: ITALIANI.

Tante parole pochi fatti. Pochissimi. Ogni giorno su quotidiani, TV, social network scorrono fiumi di buoni propositi che invitano a cambiare marcia e rilanciare finalmente il nostro Paese. 
Ma con quale risultato?? Nessuno.
Non sono serviti gli Indignati, non sono serviti i moniti della BCE, non è servita la sfiducia del FMI e non servirà neanche la caduta di Berlusconi: serviamo NOI, gli ITALIANI.
Uno slogan dell’UDC di Casini dice “quando gli Italiani si uniscono sono capaci di grandi imprese” ed è vero. Verissimo. Lo dimostra la storia, lo dimostrano le scienze sociali, lo dimostriamo ogni giorno quando messi alle strette diamo il meglio di noi.
Chiuso il capitolo Berlusconi non è detto che tutto andrà magicamente meglio come se i mercati economici si muovessero sotto l’inerzia del tanto peggio, tanto meglio.
La tanto invocata Democrazia diretta o partecipativa è aberrante. Bisogna invece proporre una Democrazia informata che coinvolga tutti in maniera propositiva e virtuosa.
La questione generazionale è di primaria importanza ma bisogna prima risistemare il sistema Paese, sempre più vittima di squilibri socio-economici che ne minano la stabilità.
In Inghilterra il premier Cameron, attraverso 10 domande, chiede ai cittadini se sono felici. NOI ITALIANI invece dovremmo riscoprire quanto proposto da Ludovico Antonio Muratori il quale, già nel 1749, distingue la ricerca della felicità individuale, che è tipico impulso umano e che nasce dalla natura ma che può trasformarsi in vizio, dalla pubblica felicità che è sempre positiva.
Non bisogna pretendere che i cittadini siano migliori: dobbiamo pretendere che ci vengano date le possibilità affinché possiamo diventarlo.
Bisogna catalizzare le forze propulsive dell’indignazione in impegno pubblico e sociale. Passino gli indignati intesi come aggettivo, ma non si possono accettare gli indignati intesi come sostantivo, come categoria sociale.
Dal 2007 in Italia c’è un nuovo modo per distrarre le masse ovvero s’è iniziato a parlare di Innovazione. Con questo termine si sono sostituiti altri concetti forse ormai scomodi: non s’è più parlato (in maniera programmatica e sostenibile) di produzione, di sviluppo né di management.
La politica deve riacquistare la sua finalità pedagogica e soprattutto deve avviare un processo di potatura dei “rami secchi”.
Alessandro Rimassa, co-autore di “Generazione Mille Euro” e Direttore di IED Centro Ricerche,  durante i seminari di “STRA.DE” a Viterbo ha proposto di ridisegnare la politica con il design e in particolare con la mappa del Design Thinking. In breve: chi ha la Vision non può essere il Project Manager. Chi può dire oggi se questa è una strada percorribile o meno? Almeno è un’idea concreta e chiaramente definita.
E’ proprio la concretezza che oggi manca. Ci si perde in voli pindarici per cercare di afferrare l’infinito quando basterebbero piccoli gesti concreti per risolvere problemi contingenti.

Ero partito bene ma mi sono perso anch’io in mille parole e altrettanti buoni propositi. Ancora una volta non è il singolo a poter cambiare le cose ma dobbiamo essere tutti insieme protagonisti del cambiamento.

Ai tempi dell’Unità d’Italia Massimo D’Azeglio diceva: “abbiamo fatto l’Italia, si tratta adesso di fare gli Italiani”.
Oggi, 150 anni dopo, possiamo dire: “abbiamo fatto gli Italiani, si tratta adesso di (ri)fare l’Italia”.


venerdì 4 novembre 2011

Il vero porcellum è il disinteresse dei giovani e nei confronti dei giovani.

Come sconfessare Aristotele e come salvare Dante.
Quella attuale potrebbe essere definita come l’era del possibilismo, intesa non come l’era delle possibilità, ma come l’era dove tutto è possibile. E’possibile che a Milano l’estate duri fino al 6 ottobre, è possibile che un insignificante ed immensamente piccolo neutrino superi le straordinarie teorie dell’immensamente grande Einstein.
E’ possibile che un tuareg nel bel mezzo del deserto comunichi in tempo reale con un Inuit dell’Alaska ma è pure possibile, anzi è realtà che si sconfessi quanto postulato da uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi: Aristotele.
Arisotele diceva: “I giovani non sono sospettosi perché di male non ne hanno ancora visto molto; sono fiduciosi perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati”.
Tralasciando la prima parte, è la seconda che ci riguarda molto da vicino.
Ai giovani viene sempre chiesto di ascoltare, ma non vengono mai ascoltati, perlomeno con la dovuta attenzione. I giovani vengono sempre tirati in ballo e usati come ariete quando c’è da guadagnare consenso, quando c’è da riposizionare le linee politiche dei partiti ma soprattutto quando bisogna metterci la faccia (fisicamente ma non intellettualmente!).

I giovani sono sfiduciati perché si sentono ingannati. Sempre di più.

Oggi si sente parlare sempre più insistentemente ma sempre meno programmaticamente di Democrazia Diretta: ebbene, si alla Democrazia Diretta ma non intesa come Anarchia diretta.
Sono tantissimi i forums, i blogs, i Tweets, i posts e le pagine Facebook inondate di appelli giovanili affinché i grandi ascoltino la nostra voce ma, purtroppo, nel magma socio-mediale la sommatoria delle insofferenze non  evolve in un unico appello generazionale. Così finisce per polverizzarsi e viene spazzato via.
Tutto questo porta ad un paradosso che io personalmente definisco paradosso della comunicazione incomunicabile.
Nell’era in cui la comunicazione crossmediale sembra realizzare il concetto di Villaggio Globale, teorizzato da Marshall Mc Luhan  nel 1968 e modificato nella forma ma non nella sostanza dal web 2.0, i giovani sembrano i cittadini privilegiati di questa comunità globale virtuale fondata sull’abbondanza comunicativa ma purtroppo continuiamo a non saper esportare e comunicare in maniera pragmatica e con lo stesso impeto e la stessa “violenza” le nostre idee ed i nostri sogni nella vita reale di tutti i giorni. Per dirla alla Celentano: il web è rock, la realtà e lento!
La fluidità e i ritmi frenetici dell’innovazione e del progresso in tutti i campi rendono ormai impensabili dei modelli socio-economici e politici fissi e applicabili  all’intera umanità globalizzata dobbiamo quindi rivedere un bel po’ di cose.
Soprattutto nella nostra realtà contingente, ovvero l’Italia, è tutto da rivedere. Viviamo di rendita da troppo tempo. Quando siamo in crisi però ci rifugiamo dietro l’ormai obsoleta espressione che ci indicava come il Bel Paese.
Cos’è rimasto di bello in un Paese dove non si investe nella ricerca, dove la disoccupazione giovanile sfiora il 30 %, dove “i cervelli” sono in fuga e tanti altri, implorati dagli stessi genitori, fuggiranno non appena laureati?? Cosa c’è di bello in un Paese dove nel 150° anniversario dell’Unità nazionale si parla sempre più insistentemente di Padania ma anche di movimenti Neoborbonici?
Infine, cos’è rimasto di serio in un Paese dove il premier, seppur non sia nuovo a simili boutade, se ne esce con Forza Gnocca e un programma di satira francese “le news de la semaine” riprendendo l’episodio, alla domanda “il nome del nuovo partito di Berlusconi?” suggerisce come opzione corretta “allez Minetti” ??
La sensazione è che non sia rimasto davvero nulla e se non avessimo quell’orgoglio che tanto ci contraddistingue avremmo già alzato bandiera bianca.
Un segnale importante viene da uno degli Italiani più stimati nel mondo, ovvero Mario Draghi.  Secondo il futuro Presidente della BCE «Senza giovani non si cresce» e solo rimuovendo le rigidità che impediscono lo sviluppo delle potenzialità delle giovani generazioni si potrà ricondurre l'economia italiana al rilancio.

Un'altra Italia c’è ed è l’Italia di tutti quei giovani citati da Mario Draghi e che hanno voglia di restare in questo Paese.
Un’Italia unita da Bolzano a  Santa Croce Camerina, un ‘Italia che crede ancora nella meritocrazia, nell’identità nazionale e nella legalità.
Un’Italia che sostiene fermamente l’integrazione e che non può prescindere da un valore-diritto-dovere qual’è il lavoro.
Un Italia che rimetta in moto l’ascensore sociale e che punti ad uno sviluppo sostenibile.
Un’Italia laica e sempre più europeista.

Dante, nel 33° canto dell’Inferno parlava degli italiani come “Le genti del bel paese là dove 'l sì suona”. Bene. Dopo aver sconfessato Einstein e Aristotele proviamo a salvare Dante:
DICIAMO SI ALLA RINASCITA DELL’ITALIA.